Nell'affrontare le problematiche di fine vita, è importante considerare che in Italia si parla di una società multietnica e con tante culture differenti.L'approccio alla cura di pazienti di differente religione o cultura comporta un'apertura mentale da parte del personale sanitario che non può essere tralasciata nella formazione di tutte le persone coinvolte nella cura di un malato. Questo articolo, uscito nel 2006, evidenzia quanto è importante ascoltare e conoscere pazienti con esperienze,culture e credi religiosi differenti.Ricordiamoci che secondo i dati della Caritas, quasi il 10% della popolazione italiana è formata da immigrati con costumi ed abitudini molto lontarni dalla nostra esperienza di occidentali.
La posizione delle autorità religiose islamiche è a prima vista abbastanza rigida e contraria sia all'eutanasia, sia al testamento biologico vincolante, mentre considera positivamente l'uso dei progressi scientifici e tecnologici per allungare la vita. Tuttavia, nella maggior parte dei numerosi documenti scientifici e giuridico-religiosi prodotti da esponenti di fede e cultura islamica nel mondo il discorso è assai più articolata con ampio spazio alla valutazione caso per caso.
La posizione delle autorità religiose islamiche è a prima vista abbastanza rigida e contraria sia all'eutanasia, sia al testamento biologico vincolante, mentre considera positivamente l'uso dei progressi scientifici e tecnologici per allungare la vita. Tuttavia, nella maggior parte dei numerosi documenti scientifici e giuridico-religiosi prodotti da esponenti di fede e cultura islamica nel mondo il discorso è assai più articolata con ampio spazio alla valutazione caso per caso.
Sono quasi cinque milioni gli stranieri regolari in Italia, il 7% dei residenti. Un residente su 12 è straniero. Il dossier della Caritas stima in 4.919.000 gli immigrati. Il 21% sono romeni, l'11% albanese, il 10,2% marocchini. La maggior parte degli stranieri sono europei (53,6%) e africani (22%).L'appartenenza religiosa degli immigrati (stima Caritas/Migrantes – Dossier 2008) è molto varia. Il totale di immigrati “in contatto” con una religione diversa dalla cattolica è da noi stimato a 2.321.900 unità. Emerge, in ogni caso, insieme a una avanzata dei cristiani ortodossi (836.000), una centralità dell’Islam (1.153.000) come seconda religione presente sul territorio dopo la cattolica, seguita dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova (circa 400.000 fedeli), seguita dalle Assemblee di Dio in Italia (140.000 membri).Se si considerano i residenti sul territorio la percentuale di appartenenti a minoranze religiose sale intorno al 5,87%.
Abbiamo ricevuto da una nostra visitatrice questo breve commento su Ebraismo e bioetica che volentieri pubblichiamo.
In Italia si è nuovamente riacceso il dibattito sul testamento biologico e sull’opportunità di trovare una legge giusta che possa rispettare il diritto di ogni singolo cittadino di poter scegliere come morire. Per questo motivo sul nostro sito abbiamo cercato di riportare in parte il dibattito in corso in tutto il mondo per quanto riguarda “la qualità della morte”. In questo ambito abbiamo deciso di tradurre parte di un documento pubblicato dall’Economist Intelligenge Unit e denominato “Qualità of death”. L’interro documento in pdf può essere scaricato dal nostro sito ( www.ryderitalia.it/images/qod.pdf) e dovremmo cercare di diffonderlo a tutti coloro che sono interessati al problema delle scelte di fine vita. Si evince dal documento che nella maggior parte dei paesi del mondo il dibattito pubblico sulle direttive anticipate o testamento biologico, sull’eutanasia e sul suicidio assistito, nonostante l’attenzione che ha su tutti i media, riguarda soltanto una piccola percentuale di malati terminali. I progressi della medicina hanno permesso, sopratutto nei paesi occidentali, un aumento della sopravvivenza, ma il problema della qualità della morte è rimasto inalterato o forse peggiorato, considerando le modificazioni della nostra società, dove non esiste una famiglia od un tessuto sociale capace di farsi carico di questo problema, che spesso ricade sul medico, sul caregiver e sui familiari che dovrebbero essere adeguatamente formati e supportati in questo ruolo di accompagnamento. Il più delle volte questo non avviene, in particolare nella maggior parte dei paesi non esiste nessuna forma di assistenza sanitaria di base che permetta prima di curare, ed in seguito di accompagnare i malati alla fine della vita. In questo rapporto, che potrete trovare sul sito della nostra asscociazione: www.ryderitalia.it il “Worldwide Palliative Care Alliance” sostiene che ogni anno circa 100 milioni di persone in tutto il mondo dovrebbero usufruire di servizi di cure palliative, ma solo meno del 8 % hanno la possibilità di accedere ad una assistenza di questo tipo. I numeri nel nostro paese descrivono una realtà simile, siamo al 24 mo posto nella graduatoria del “Quality of End-of-Life Care” e siamo anche tra gli ultimi in Europa come servizi domiciliari e le due realtà sono strettamente connesse. Non si può pensare di migliorare la qualità dei servizi di Cure Palliative se non si sviluppano i servizi a domicilio, in un paese dove ogni giorno vengono tagliati posti letto per motivi economici e non si investe su servizi alternativi sul territorio abbandonando i più deboli ad un futuro tragico. In mancanza di un assistenza di base, la maggior parte dei malati, se non assistiti in modo adeguato e soprattutto umano, perché non dovrebbero chiedere di interrompere un esistenza fatta di dolore, solitudine ed abbandono. Di qui forse una maggiore attenzione nei riguardi della posizione in difesa del principio del diritto alla vita, come diritto di avere un livello minimo di assistenza quello che in gran parte del mondo è del tutto carente.
In tutto il mondo è aperto il dibattito sul diritto di un singolo paziente ad esprimere la propria volontà su come essere assistito nell’ultima fase della propria vita. Tutti i professionisti che lavorano nel campo delle cure palliative sanno quanto sia difficile soddisfare il giusto desiderio di un malato grave, cercando di andare incontro alle sue scelte di fine vita. Un recente articolo uscito sul New York Times affronta esattamente questa problematica dal punto di vista di un medico coinvolto nelle cure palliative e di una sua paziente che aveva espresso il desiderio di rimanere a casa fino alla fine dei suoi giorni.
Secondo quanto riferito dalla psichiatra Paulan Starcke, non è raro vedere pazienti con grave sofferenza mentale che cercano di togliersi la vita. In base alla sua esperienza, la dottoressa rivela che, in alcuni casi, dopo un’attenta discussione con il paziente, i suoi familiari e i medici, ha aiutato a morire alcuni malati psichiatrici.
L’INSEGNAMENTO DELLE CURE PALLIATIVE PRESSO LA HARVARD MEDICAL SCHOOL
“Pensavo che finalmente avrei scoperto cosa è realmente la morte. Pensavo che avrei appreso le parole più adeguate per parlarne. Pensavo che sarei rimasto con le mie domande sulla fine della vita e su come le persone affrontano la morte. Speravo che esistesse un protocollo da
seguire, quando un paziente muore, che mi avrebbe protetto dalla sofferenza e dalla angoscia. Le mie esperienze nel seguire questo corso mi hanno dimostrato che cercare le risposte a questi interrogativi mi avrebbe reso meno-umano”. Dagli appunti di uno studente di medicina della Harvard Medical School. Nelle facoltà di medicina, più di vent’anni fa, l’insegnamento delle cure palliative era in concreto inesistente.
Una paziente di oltre 80 anni, con una diagnosi di mieloma, aveva trascorso gli ultimi sette anni nel tentativo di combattere questa malattia con differenti cicli di chemio e radioterapia. Grazie a questo trattamento, la paziente aveva superato di gran lunga le aspettative di sopravvivenza, data l'età ed il tipo diagnosi. Ora nonostante le battaglie combattute, il mieloma sembrava aver vinto e rimanevano scarse possibilità per la paziente di poter vivere a lungo.
Una camminata notturna per portare la morte. È la corsa della "femina agabbadora", consolatrice dei moribondi in Gallura. La donna che batteva le campagne come un’ombra correva lungo i sentieri vicini al mare; arrivata nella casa dove la malattia stava irrimediabilmente consumando qualcuno, con un colpo preciso di martello al capo poneva fine a tutte le sofferenze. Questa donna "finitrice" veniva chiamata alle famiglie in cui c'era un malato o una malata terminale, che soffriva ed era una bocca in più da sfamare e curare, e spesso non si avevano molti soldi. Veniva chiamata da un membro della famiglia e si recava nella casa avvolta da un fazzoletto nero e in ore in cui veniva vista da pochi o nessuno. Aveva con sè una borsa dove riponeva gli arnesi del suo "mestiere": un piccolo giogo di buoi, simbolo di fertilità e morte-rinascita, che veniva piazzato sotto la testa del malato per aiutarlo nel cammino e un martelletto, come quello della foto, conservato nel museo di Luras, in Gallura.