Chi deve decidere, il malato o la sua famiglia?
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- Categoria: Bioetica e medicina
- Pubblicato: Venerdì, 17 Novembre 2017 15:54
- Scritto da Ryder Italia Onlus
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Una paziente di oltre 80 anni, con una diagnosi di mieloma, aveva trascorso gli ultimi sette anni nel tentativo di combattere questa malattia con differenti cicli di chemio e radioterapia. Grazie a questo trattamento, la paziente aveva superato di gran lunga le aspettative di sopravvivenza, data l'età ed il tipo diagnosi. Ora nonostante le battaglie combattute, il mieloma sembrava aver vinto e rimanevano scarse possibilità per la paziente di poter vivere a lungo.
Circa sette mesi prima, la paziente dopo un crollo di due vertebre cervicali era stata sottoposta ad un intervento ortopedico di stabilizzazione vertebrale. Dopo questa operazione le cose non erano andate molto bene in quanto era comparsa un'insufficienza renale con un'infezione della ferita chirurgica ed una grave emorragia gastrointestinale dovuta ad una colite Ischemica. La sua ferita presentava ancora del pus e nel periodo successivo alla chirurgia ortopedica, la paziente era passata da una reparto di rianimazione a un reparto di chirurgia senza mai poter essere dimessa. Alla fine era arrivata nella nostra corsia di rianimazione. Al momento del ricovero la paziente presentava febbre alta, uno stato delirante e ed una grave ipotensione arteriosa. In seguito all'insufficienza renale la paziente presentava un quadro di edema generalizzato, per tale motivo fu iniziata una terapia con diuretici, con somministrazione di una terapia antibiotica ad ampio spettro e farmaci vaso pressori allo scopo di combattere l’ ipotensione e la sepsi. Nel giro di 48 ore la paziente migliorò, la febbre scomparve e ritornò lucida. Nonostante i miglioramenti, la malata riferì di stare bene soltanto in una particolare posizione che le permetteva di non aver dolori, e comunque non fu possibile convincerla a mangiare regolarmente per il rifiuto della stessa. Sino ad ora nonostante la insufficienza renale, non eravamo ricorsi ad una emodialisi , ma avevamo avvertito la paziente che in futuro le sarebbe stata necessaria . Quella mattina, dal momento che la paziente era lucida e orientata, ci fermammo più a lungo a parlare accanto a suo letto, in modo da spiegarle la situazione e per prepararla a un eventuale nuovo ciclo di chemioterapia per combattere il mieloma. A quel punto la paziente si rivolse direttamente al primario e gli disse con molta chiarezza "Caro dottore conosco perfettamente la mia situazione e Io vorrei non effettuare più nessuna terapia attiva ".Per molti medici non è insolito dover affrontare casi clinici in cui diventa necessario dover convocare i familiari della paziente per un meeting a letto del malato. In questa riunione organizzata il giorno seguente, la paziente fu informata sull'esistenza di un ulteriore linea di terapia per il mieloma, ma che comunque la possibilità di avere una sopravvivenza superiore a 12 mesi sembrava molto difficile e sicuramente senza lasciare un reparto di ospedale oltre alla necessità dell’emodialisi. La figlia, scelta dall'intera famiglia come caregiver, aveva manifestato la sua intenzione di mantenere l'armonia all'interno di tutto il nucleo familiare, cercando quindi di rispettare le esigenze di ogni singolo membro. Il meeting familiare avvenne in presenza dei medici curanti, in particolare con l'oncologo ed il nefrologo, per spiegare alla paziente il percorso terapeutico, le eventuali complicazioni o comunque gli effetti collaterali, senza comunque poterle promettere una guarigione dalla malattia o comunque una lunga sopravvivenza. La paziente alla fine del meeting confermò di aver raggiunto il limite di sopportazione per la sua situazione ed espresse il desiderio di volere evitare ulteriori terapie. A quel punto i familiari decisero di voler rimanere da soli con la malata, senza la presenza dei medici. Dopo 45 minuti il figlio, uscendo dalla camera, ci chiese di fare il possibile per continuare le terapie attive per la madre e non volle discutere in nessun modo questa decisione. Il giorno dopo rivisitammo la paziente, che non fù di molte parole, facendoci capire che lei stessa aveva deciso di aderire al desiderio del figlio, nonostante le sue volontà fossero differenti. Nelle 48 ore successive la malata fu trasferita nel reparto di oncologia e gli fu inserito un catetere per la dialisi. Noi medici ci sentimmo sconfitti, in quanto nessuno di noi, nemmeno il medico di famiglia, era stato capace di intercedere presso i familiari ed in particolare con il figlio per comprendere se queste erano le reali disposizioni della paziente per cercare di farle rispettare. La figlia ci confermò, chenonostante l'accordo con il padre, marito della paziente, e con gli altri familiari il figlio si era imposto e loro avevano convinto la madre ad accettare questa decisione, anche se non ne erano soddisfatti. Questa situazione, è molto spesso presente nei reparti di rianimazione o comunque nei dipartimenti dove ci sono pazienti con malattie avanzate o terminali. In altre parole ci si trova ad affrontare in questi casi il problema etico ed umano che colpisce un gruppo di familiari che di fronte al dolore di perdere una persona amata, tendono a scegliere in base alla loro sofferenza, non riuscendo a rispettare frequentemente il diritto del malato stesso a poter scegliere della propria vita. La situazione presentata in questo caso clinico evidenzia la necessità di discutere da un punto di vista etico e legale il diritto di una persona a poter scegliere della propria vita in presenza anche dei suoi familiari o di qualsiasi persona legata affettivamente al malato, cercando di rispettare le esigenze di ognuno. In particolare nei servizi di assistenza domiciliare, a differenza di quanto avviene in ospedale, la famiglia è necessariamente coinvolta come entità totale per discutere le scelte terapeutiche possibili compresa anche l'interruzione del trattamento. Ma tutto non è così semplice, in quanto nella società moderna la maggior parte delle persone non è più abituata a vivere vicino o ad assistere una persona sofferente, e nel momento in cui si trova ad affrontare una situazione simile le risposte possono essere tra le più varie. Di fronte all'eventuale perdita di una persona amata, la sofferenza personale può portare ad atteggiamenti contrastanti che passano paradossalmente dalla richiesta di eutanasia, per porre fine il prima possibile a questo percorso doloroso, sino all'accanimento terapeutico sperando così di rimandare il più possibile il momento della perdita. Ma non sempre dietro queste decisioni c'è una reale riflessione su quale siano le reali esigenze del malato che dovrebbe essere l'ultimo a dover decidere della propria vita. Questo particolare caso clinico, evidenzia le scelte terapeutiche spesso difficili a cui saranno sottoposti i medici nei prossimi anni considerato l'invecchiamento della popolazione in tutto il mondo. Nel caso clinico in questione, la paziente lasciò il reparto di rianimazione per essere ricoverata negli ultimi tre mesi di vita in vari differenti corsie, continuando le terapie richieste dal figlio e morì senza che i medici siano riusciti realmente a rispettare il diritto della singola persona.