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Il problema delle direttive anticipate, dalla teoria alla realtà

In tutto il mondo è aperto il dibattito sul diritto di un singolo paziente ad esprimere la propria volontà su come essere assistito nell’ultima fase della propria vita. Tutti i professionisti che lavorano nel campo delle cure palliative sanno quanto sia difficile soddisfare il giusto desiderio di un malato grave, cercando di andare incontro alle sue scelte di fine vita. Un recente articolo uscito sul New York Times affronta esattamente questa problematica dal punto di vista di un medico coinvolto nelle cure palliative e di una sua paziente che aveva espresso il desiderio di rimanere a casa fino alla fine dei suoi giorni.

La paziente era una donna di oltre 70 anni che viveva da sola ed era affetta da malattia di Parkinson. Presentava una limitata abilità a muoversi e le servivano ore ogni mattina solo per vestirsi. Vivendo sola, non poteva uscire di casa e contava sulla disponibilità dei vicini ed amici della comunità religiosa locale per un aiuto nei diversi servizi domestici. La paziente era assolutamente decisa a non voler un trattamento aggressivo che tentasse di mantenerla in vita nella fase avanzata della sua patologia. Essendo sola, era stata più volte ricoverata in Ospedale e aveva deciso che non voleva più occupare inutilmente un posto di ricovero che poteva essere utilizzato per qualche altro paziente altrettanto grave. Per questo motivo, aveva accuratamente compilato con largo anticipo un documento sulle sue scelte di fine vita nel quale affermava di non voler essere mantenuta in vita con l’aiuto di apparecchiature per la respirazione, non voleva essere sottoposta a rianimazione cardiopolmonare in caso di arresto cardiaco e, infine, aveva espresso il desiderio di non essere sottoposta ad alimentazione artificiale nel caso non fosse più capace di alimentarsi da sola.

Ma il desiderio più importante che esprimeva era di rimanere nella sua casa e di evitare una nursing home (negli Stati Uniti le nursing home sono strutture simili alle nostre residenze sanitarie assistite o RSA).

Il medico esperto in cure palliative che la seguiva le aveva consigliato di sottoscrivere in anticipo le sue direttive avanzate, ovvero quei documenti legali che indicano ai medici e ai familiari quale trattamento un paziente vuole o non vuole che venga fatto nel caso in cui il paziente stesso sia incapace, al momento del bisogno, di decidere.

In campo medico, questo tema è estremamente importante perché, se non conosce le direttive di un paziente, il personale sanitario tende, in modo automatico, a mantenere in vita un malato grave, e questo generalmente si tramuta spesso in un trattamento non necessario e costoso. Negli Stati Uniti, uno degli argomenti a supporto delle direttive anticipate riguarda il fatto che il 25% del costo totale dell’assistenza pubblica è utilizzato nell’ultimo anno di vita delle persone.

Nel caso raccontato sul New York Times, la paziente sviluppò una tosse con febbre, probabilmente dovuta ad un progresso di broncopolmonite, che si tramutò in uno stadio confusionale che le impedì di prendere qualsiasi decisione. Grazie alle direttive anticipate da lei compilate prima del peggioramento, la sua famiglia conosceva il desiderio della paziente e poté programmare il suo mantenimento a casa il più a lungo possibile.

Quindi, con un’accurata programmazione di visite infermieristiche quotidiane e con un supporto sociale e familiare, la paziente riuscì a rimanere nel proprio domicilio. Il medico che la seguiva, in previsione di un progressivo peggioramento, pensava di ricoverarla prima in Ospedale e poi in un hospice residenziale. Per fortuna, nei giorni successivi, la paziente migliorò fino a tornare agli stessi livelli di indipendenza parziale che aveva prima dell’episodio di polmonite. Fu a questo punto che il medico si pose giustamente il problema della “possibilità di rispettare le direttive avanzate che la paziente aveva sottoscritto”.

Moltissime delle persone che vivono sole e che sono affette da gravi malattie rischiano che in qualsiasi momento un piccolo peggioramento, un piccolo trauma o la scarsa aderenza alle terapie possa rompere l’equilibrio nel quale vivono e far perdere loro quel poco di autonomia che sono riuscite a preservare. Il vero problema deriva dalla mancanza di caregiver (per caregiver si intende una qualsiasi persona che offre assistenza ad un malato parzialmente o totalmente autosufficiente) in grado di aiutare quotidianamente la persona sola a tenere sotto controllo le attività fondamentali che le permettono di restare almeno parzialmente autosufficiente.

Nel caso della paziente citata dall’articolo del New York Times, le cause che hanno scatenato il suo peggioramento furono proprio l’interruzione dell’aiuto dei vicini di casa e la fine dell’assistenza della giovane donna che le dava un supporto costante per la spesa e per le altre necessità domestiche.

Poiché la paziente considerava la propria indipendenza come la cosa più importante da mantenere a tutti i costi, quando gli amici o i familiari non conviventi e lontani o gli stessi servizi sociosanitari la chiamavano, lei rispondeva sempre di essere in  ottime condizioni. La verità era del tutto differente.

In realtà nelle ultime tre settimane aveva mangiato solo riso perché era l’unico cibo disponibile in casa. Quando la nipote chiamò i servizi sociali per chiedere un controllo, l’assistente sociale si recò insieme ad un’infermiera al domicilio trovando una casa dove si erano accumulati pacchi di rifiuti, vestiti sporchi e totalmente priva di carta igienica.

Nonostante tutti gli sforzi, in queste condizioni non fu possibile mantenere la paziente nel proprio domicilio. Fu quindi obbligata ad andare in una nursing home dove trascorse i suoi ultimi due mesi di vita.

Si può dire che le direttive avanzate che lei aveva espresso le permisero di evitare il ricovero in Ospedale ma non purtroppo di rimanere nel proprio domicilio. In verità il documento da lei firmato non le permise quindi di vivere i mesi finali con il conforto e la dignità che la paziente avrebbe voluto.

È quindi necessario, quando parliamo ai nostri pazienti delle direttive anticipate, di non discutere semplicemente della terapia medica ma di affrontare anche le problematiche del supporto sociale ed economico necessario.

Gli aspetti prettamente medici ma anche quelli altrettanto importanti che riguardano le condizioni economiche e sociali di una persona devono essere chiaramente evidenziati al paziente e agli eventuali familiari per poter programmare una possibile assistenza che può durare anche vari mesi se non anni, dove, non sempre, il domicilio può rappresentare un obiettivo raggiungibile.

Oltre a questi aspetti, è opportuno anche riconsiderare alcune problematiche delle direttive avanzate. Se è vero che questo tipo di documento, quando è riconosciuto come documento con valore legale, può evitare un trattamento aggressivo e ridurre, di conseguenza, anche i costi dell’assistenza, la valutazione prettamente medica non deve essere l’unica criticità da considerare nel programmare un’assistenza a pazienti con malattie avanzate. Infatti, i fattori sociali ed economici condizionano in modo altrettanto importante la programmazione dei servizi nell’ultima parte della vita. Per una paziente di oltre 70 anni, con patologia cronica invalidante, il costo medio dell’ospedalizzazione negli Stati Uniti è di circa 13.000 dollari. L’assistenza pubblica Medicare (programma di assicurazione sanitaria offerto dal governo statunitense per le persone sopra i 65 anni) può disporre di questa somma per mantenere a casa la paziente offrendole un servizio infermieristico e sociale, magari quotidianamente, ed eventualmente offrire ulteriori servizi extra sanitari, in modo da evitare un abbandono sociosanitario come quello subito dalla paziente dell’articolo.

Come sottolinea il dottor David Casarett, autore dell’articolo, una paziente che chiede di poter essere assistita nel proprio domicilio rappresenta un risparmio per la sanità pubblica, proprio perché non si ricovera in una struttura ospedaliera con costi elevati. Per questo motivo, una sanità efficiente ed equa dovrebbe utilizzare parte di questa cifra per servizi socio sanitari che permettano alle persone non solo di soddisfare le direttive anticipate ma anche di avere un’assistenza più umana ed efficiente nel proprio domicilio ad un costo minore rispetto a quello di un ricovero ospedaliero.